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Idee & c. Cosa lasciare di questo inizio millennio

Intervista a Web Marketing Tools 2001

A un anno di distanza (cfr. WMT33) siamo tornati a trovare Andrea Giovenali, CEO e fondatore di Biz2000. Molto è cambiato nel mondo dell’economia digitale da quel ‘lontano settembre 2000′. Abbiamo pensato di confrontarci nuovamente con lui sui medesimi concetti – management, startup, tecnologia, venture capital- per aggiornarli in base a quanto successo nel nostro mondo, nel tentativo di ricostruire un quadro di questo scenario in continuo mutamento. E’ un po’ come la questione degli oculisti e degli ottici: entrambi trattano problemi della vista, solo che i primi curano la vista e prescrivono gli occhiali, i secondi devono vendere gli occhiali per curare la vista… da chi è meglio andare per il proprio problema?

IDEE & CONCETTI

WMT – È bello rivedersi, no?!

Andrea Giovenali – In che senso?

WMT – Non fraintendere … Nel senso che dopo tutto quello che è successo in quest’anno, essere ancora qui (nel senso del business) è un bel rivedersi … Da dove partiamo?

Andrea Giovenali – Dalle idee e… i concetti

WMT – Si nota una generale tendenza alla riduzione degli investimenti da parte delle imprese nello sviluppo di progetti internet. È un problema che riguarda esclusivamente la produzione di siti (e che quindi può colpire società come DNM Inferentia, Kmatrix…), oppure è tutta l’area dell’e-business a risentire di un momento di stallo? Perché?

Andrea Giovenali – Sembrano passate ere geologiche da quando nel ’98, per conto di DNM, mi ero recato in USA e avevo incontrato una serie di società americane come Agency.com, Modem Media, e USWeb CKS. Da allora alcune hanno cambiato nome, e alcune non esistono più, o languono in borsa sotto la soglia del dollaro. Razorfish, March First, nomi che hanno intimorito le grandi società di consulenza per la capacità e la qualità dei lavori, e che hanno perso la loro scommessa con il mercato. Le ragioni sono le più varie, ma sono un importante segnale di quanto sta per accadere nel nostro paese, più piccolo e più affetto da problemi di sviluppo. Anche le società di soluzioni Internet sono un fenomeno legato alla stagione più florida della rete, nella quale sono stati pompati miliardi di investimenti in nuovi siti, la cui rilevanza per l’impresa, ad oggi, è in molti casi nulla. Del resto, non si può biasimare l’importanza del lavoro svolto in una fase iniziale da queste società, che hanno per prime aperto il mercato e avviato la sperimentazione di una realtà come Internet, in costante movimento e cambiamento da dieci anni. Sicuramente oggi, l’approccio più richiesto dalle aziende è quello di realizzare un progetto di business, più che un sito web, e quello che si è capito è che al centro del sistema del progetto c’è proprio l’azienda con le sue esigenze reali e i suoi obiettivi strategici, non la tecnologia che la abilita. Quindi lo stallo non è un momento di pausa nel trend che abbiamo conosciuto, ma una profonda revisione del concetto di progetti di business per un’azienda. Il concetto di e-business, come quello di e-learning di queste settimane, “sponsorizza” un nuovo fenomeno, spingendone l’affermazione, ma la maggior parte delle aziende (soprattutto le corteggiatissime PMI) è molto lontana dal comprenderne il significato e il beneficio per le proprie esigenze.

WMT – Quello che è successo è che gran parte del mercato che conta, ha già investito per lo sviluppo di progetti che non hanno avuto grande influenza sulle performances del proprio business, nonostante il costo di svariati miliardi. Quale pensi che sarà il trend generale ora?

Andrea Giovenali – Il trend che interesserà i prossimi anni sarà segnato da una profonda analisi e riflessione delle aziende sulle proprie strategie di business, al fine di comprendere il carattere d’innovazione da attribuire alle proprie attività future. Solo dopo questa fase si definiranno le esigenze, i requisiti e le specifiche nel ruolo da attribuire alla tecnologia e Internet, come elementi determinanti e imprescindibili della competizione. Le aziende non ridurranno i propri investimenti, anche perché attendiamo finalmente l’ingresso delle medie imprese italiane in questo mercato, ma porranno estrema e rinnovata attenzione alle proprie scelte tecnologiche, non più sospinte dal vento dell’entusiasmo e del marketing aggressivo, ma più determinate a investire una sola volta e in modo definitivo per il proprio futuro. Ciò grazie anche ad una conformazione di Internet più chiara e definita, che non implicherà più cambiamenti e revisioni tecnologiche, ma una competizione più stabile e chiara tra le aziende che forniscono soluzioni e piattaforme. Per quest’ultime, ma soprattutto per le agenzie new media, si porrà un problema simile a quello che ha interessato negli anni ’90 le agenzie pubblicitarie. A seguito del boom della pubblicità degli anni ’80, sospinto da Tv commerciali e trends economici favorevoli, le agenzie pubblicitarie italiane erano diventate aziende di 300, 400, persino 500 persone. Con il mito del “full service” e la successiva crisi del mercato, ci si rese conto che era impossibile chiedere agli investitori pubblicitari di sostenere le loro agenzie con dei costi vertiginosi, e se si accettavano fee ridotti per i lavori, metà agenzia si girava i pollici. La successiva evoluzione, che interesserà anche i nuovi attori di Internet in futuro, fu un'”atomizzazione” dei servizi, verso una specializzazione progressiva delle unit, in grado di operare, competere e guadagnare autonomamente. A distanza di anni, le agenzie pubblicitarie degli anni ’80 sono delle mega holding finanziarie che controllano miriadi di unit operative. Per gli Internet integrators ciò comporterà un rifrazionamento delle competenze interne, per poter sopravvivere, cioé competere in linee di business come il networking, lo sviluppo web, l’integrazione di sistemi, e lo sviluppo tecnologico a sé stante. L’errore che molte di queste società stanno compiendo è quello di mantenere il full-service e ampliare i propri servizi nella strategia, convinti che una buona strategia faccia spendere più soldi alle aziende in tecnologia…invito a rileggere la questione dell’oculista.

IDEE & UOMINI

WMT – Quando ci siamo incontrati, l’anno scorso, si era in un momento in cui già stava scemando l’euforia, è anche la maggioranza si accorgeva della reale natura dell’internet. Un nodo del problema era la sproporzione fra il gran numero di idee e le persone che sono in grado effettivamente di gestirle. Com’è ora la situazione?

Andrea Giovenali – Le nuove idee sono poche, e anche mortificate da un mercato che ha drasticamente virato e   bloccato qualsiasi stimolo imprenditoriale. Quando si parla di idee in questo periodo, si fa riferimento all’innovazione delle imprese consolidate, quelle della real-economy, che stanno lentamente prendendo forma, spinte dalle urgenze di competere e dai mercati sempre più vasti che interessano l’attività produttiva e distributiva di queste aziende. Ma ancora una volta, in maniera diversa, il problema dello squilibrio tra idee e competenze si confermerà. Infatti, le aziende di medie dimensioni, quelle più sollecitate da opportunità di mercato e finanziarie, si trovano nel dilemma di innovare, ma non poter distogliere competenze e risorse dal core business, oltre a necessitare di nuove competenze,   apporti professionali ed esperienze di nuovi mercati.   Il time-to-market di molte medie imprese italiane si scontra con l’esigenza di dare vita a nuove strategie e progetti di business in breve tempo, e di non avere le competenze per farlo, o affrontare ingenti investimenti e costi operativi da subito. L’accelerazione di business e il temporary management, finalizzati a traghettare queste imprese, saranno una realtà importante del mercato dei prossimi anni.

WMT – I manager hanno approfondito la loro conoscenza di marketing? Oppure si continuano a notare grossolani errori in ambito di comunicazione? Cioè massicci investimenti in immagine, ma poco ritorno in brand awareness...

Andrea Giovenali –   Partirei da un principio: il marketing non è solo comunicazione, e considerarlo solo comunicazione è il primo grossolano errore di moltissime aziende italiane. Col senno di poi, molti errori della new-economy si sarebbero potuti evitare, se fossero stati passati al vaglio della disciplina del marketing, cioé si fossero fatte analisi della domanda e analisi di mercato più attente. In generale in Italia si tende a reputare che il marketing sia un aspetto subordinato alla produzione dell’azienda, e di tutti quei fattori che fanno esclamare ad un imprenditore che lui è l’unico che ne capisce del suo prodotto. Cioé il marketing è appunto “fare la pubblicità”, non l’azienda. Questo è il punto nodale che permetterà solo ad alcune illuminate imprese di superare questo passaggio di crescita e sviluppo, quelle che affronteranno l’innovazione con un occhio attento al mercato, ai suoi cambiamenti e tendenze. Questa è anche la ragione per cui, come già da me sostenuto in queste pagine alcuni mesi fa, il marketing è sempre più un’attività sotto il controllo o la diretta gestione dei vertici di un’azienda, e la pianificazione strategica è una fase centrale dello sviluppo dell’impresa. Per quello che riguarda la comunicazione, mi sembra di poter dire che, oltre a creare poca notorietà, molti investimenti pubblicitari di nuove aziende siano state la ragione del burn-rate che le ha affossate, anche se la ragione dei fallimenti, che è di norma attribuita per logiche finanziarie agli investimenti dissennati in pubblicità, sono da cercare nelle strategie di marketing errate, che sono più difficili da interpretare, ma molto spesso uccidono qualsiasi iniziativa buona e ben finanziata.

WMT – Esempio, già menzionato nella scorsa intervista, era il problema della contemporaneità, cioè la possibilità che ci siano sempre dei competitors pronti: si è in grado – si sono acquisiti gli skills necessari – di gestire, la competizione fra idee/progetti simili che nascono nello stesso tempo e contemporaneamente affrontano il mercato?

Andrea Giovenali – La competizione tra imprese, e la casualità che alcune si trovino a fare la stessa cosa, non è risolvibile. Neanche la ricerca e sviluppo in nuove iniziative tecnologiche di società californiane, può escludere che in Israele qualche cosa di simile esista già. Si deve lasciare libera espressione alla competizione e munire queste aziende di strumenti e opportunità finanziarie per fare i conti con i propri concorrenti diretti. In questi ultimi mesi, il numero di acquisizioni e fusioni tra società simili è stato altissimo, segno che le buone idee non si annullano, ma si alleano. Esistono due problemi a questo riguardo: le aziende italiane, per problemi strutturali, tendono ad avere frequentemente un ruolo subordinato a quelle di altri paesi, perché mancano di mezzi sufficienti alla crescita, o è più difficile procurarseli. Due casi illuminati che smentiscono questa regola sono Tiscali e Vitaminic, ma qualcuno ha creduto in loro all’inizio, sebbene la ragione d’essere e la sostanza del loro business sia profondamente diverso. Il secondo è che ogni iniziativa imprenditoriale gioca un partita in un campionato diverso, e le regole e le minacce di questo tipo devono essere analizzate caso per caso, con un’analisi di mercato precisa.

WMT – Come è stata accolta la lezione del modello americano del networking, e quali sono stati gli effetti sul mercato italiano? Come sono gestite ora le relazioni e competenze esterne all’impresa?

Andrea Giovenali –   Dobbiamo partire dal presupposto che il mercato italiano è polarizzato in pochi e potenti gruppi industriali e finanziari, che rappresentano il crocevia di ogni sviluppo di business, che prima poi si trova a fare i conti con la necessità di generare sinergie o competere con essi. Questo è più vero in Italia che altrove, dove i nuovi progetti di business nascono e decollano per poi incontrare sulla loro strada il grande gruppo, partner o acquirente. Per cui il networking in Italia è alquanto difficile, perché fa riferimento alla rete di relazioni tipiche del nostro paese, e non avviene per canali di spontaneità o opportunità di business. Molte esperienze negative dell’epoca dell’incubazione e accelerazione di nuove imprese erano riferite all’ottimistica ipotesi di costruire in breve tempo intorno all’impresa una rete di relazioni e partners che apportassero valore e successo. Questa aspettativa si è scontrata inevitabilmente con la numerosità di stimoli o contatti a cui sono stati sottoposti i decisori di questi grandi gruppi, e la loro non-volontà di accelerare idee e business rischiosi e incompatibili con i loro tempi e le loro strategie. Quello che serve a un’impresa già consolidata per accelerare un nuovo progetto sono relazioni diverse da quelle di cui necessitavano le .com’s, cioé meno finanziarie e più di mercato,   mirate alla costruzione del valore di un progetto non per spirito di sopravvivenza, ma per precisa esigenza strategica.

IDEE & SOLDI

WMT – Continuiamo l’analisi delle dinamiche fra le idee e gli agenti concreti che servono a realizzarle. Rapporto soldi-idee: tu parlavi della necessità, l’anno scorso, per le buone idee, di accomunarsi con soldi ‘intelligenti’. Com’è cambiata la cultura del capitale di rischio in Italia? Ci si è abituati – anche ad affrontare le batoste?

Andrea Giovenali – Beh, credo che gli ultimi mesi abbiano lasciato il segno anche nei venture capitalist, anche se io credo che i veri problemi, per loro e non per le loro aziende, li vedremo nell’arco di un anno o due. Infatti sono questi i termini di tempo nei quali si misura la performance di un VC. Per una loro azienda che va male in un solo anno, si devono aspettare dai 3 ai 5 anni per vedere tutti gli investimenti fatti che tipo di ritorni avranno generato per il VC, e mentre abbiamo già visto chiudere o correggere la rotta a molte aziende, i VC della new economy sono prossimi alla verifica con i loro investitori. Più che cambiata, la cultura del capitale di rischio è esplosa, ma altrettanto velocemente ha battuto la ritirata. Le ragioni sono da ricercare in un eccesso di prudenza “funzionariale” di molti gestori, l’impossibilità a seguire operativamente i propri investimenti e dare manforte all’impresa nei momenti di necessità e rischio, e una scarsa concorrenza sopratutto nella fascia bassa, quella dello stadio precoce di sviluppo di un’impresa. I VC italiani fanno oggi a gara per investire in medie imprese italiane, più solide, meno rischiose e più facilmente “quotabili” in breve tempo. Il paradosso vuole che gli imprenditori di queste aziende siano molto più attenti e selettivi nei confronti dei loro potenziali investitori finanziari, e si comportino molto spesso da “prime donne”, timorosi nei confronti dell’atteggiamento estremamente speculativo del VC, e protettivi nei confronti del valore d’impresa costruito in tanti anni di lavoro. Con questo ritengo che si sia chiusa definitivamente l’era delle start-up, di Internet e non, e si ritorni al vecchio modo di fare impresa all’italiana.

WMT – È tramontato il mito del Nuovo Mercato? Start-up che avevano come unico fine quello di arrivare alla valutazione in Borsa, fare speculazione e poi venire abbandonate a una inevitabile sorte…

Andrea Giovenali – Sto affrontando in questo periodo delle consulenze estremamente istruttive da questo punto di vista. Le start-up con soci finanziatori eccellenti sopravvivono solo se alla guida delle società resta un team competente e determinato, meglio se il team fondatore. In questi mesi sono saltati molti amministratori delegati e fondatori di società della new-economy, per volontà dei propri investitori finanziari, e quello che ne consegue è un imbarazzante correzione di rotta, che mette a scompiglio l’intera organizzazione e la sua cultura e determinazione, minando alla base molti dei principi iniziali del progetto. Non so francamente quanto male faccia chiudere un’impresa e riconoscere un errore, piuttosto che rimodulare la sua strategia con manager prestati all’occorrenza, e che non hanno una vocazione da fondatori. Ad ogni modo credo che il fenomeno della quotazione veloce e “forzosa” sia ormai alle spalle come attività speculativa, mentre il fenomeno del Nuovo Mercato non solo non è tramontato, ma rinvigorito nel suo futuro. Infatti stanno valutando la quotazione al NM società estere, europee e israeliane, che in un contesto di libero mercato europeo, stanno valutando il mercato italiano come estremamente interessante, perché molto liquido e strettamente legato ad un contesto industriale rigoglioso di sinergie ed opportunità. Visto che non siamo capaci di valorizzare imprese italiane di carattere tecnologico e innovativo, tanto vale che i nostri risparmi si possano valorizzare in Italia con aziende estere, mi pare che non faccia una piega in questo mercato aperto. Esiste anche un fenomeno appena avviato di società consolidate, medie imprese italiane, che vedono nella quotazione una possibilità di espansione. Purtroppo molte di queste società tendono a basare i propri fondamentali sugli asset e sul passato, mentre si dovrebbero quotare sempre e solo società che hanno chiarezza sul futuro, perché è su questo che gli investitori basano la propria fiducia.

WMT – È comunque ancora necessario l’appoggio al sistema bancario, come fatto endemico tutto italiano? E qual è la situazione dei fondi d’investimento, anche a livello europeo?

Andrea Giovenali –   Le banche sono e restano decisamente una delle fonti primarie per chi vuole dare la prima spinta alla propria società. In questi mesi di sconforto e revisione, anche le più coraggiose hanno irrigidito di nuovo il supporto alle nuove imprese con modelli innovativi e rischiosi. Non si possono biasimare, non è a loro che si può chiedere di scomettere sulla capacità di un’impresa di crescere. I fondi d’investimento, soprattutto quelli avviati nel corso del ’99 e del 2000, sono ancora carichi di risorse da investire, ma che per un rivisto profilo di rischio e l’incertezza di garantirsi una way-out in tempi veloci, hanno congelato molti investimenti, e tendono comunque a privilegiare aree come Israele, gli USA e il Nord Europa. Quello che mi risulta è che i fondi che hanno avviato una raccolta recentemente, o quelli che progettavano di farlo, siano in seria difficoltà nel raggiungere il target previsto, e che in parte abbiano abbandonato dopo estenuanti fund raising. Ciò non è bene, ma è un segno che anche i facoltosi investitori che sono soliti diversificare il proprio portafoglio in fondi chiusi, hanno rivisto questa opportunità e attendono di avere i risultati consolidati di quei fondi che per primi hanno investito in Internet, e credo che ciò non li convincerà in molti casi a riavvicinarsi. Dovremo attendere 12/18 mesi prima di rivedere qualche segno sostanziale di ripresa dell’investimento di fondi, non indiscriminato, ma comunque in linea con il profilo di rischio che appartiene a queste istituzioni. Dall’altro sta crescendo il ruolo dei gruppi industriali, in particolare in Italia, capitali e sviluppo industriale “captive” sono elementi dai quali qualsiasi neo-imprenditore non può prescindere. Abbiamo casi, tra le nostre attività del 2000, di società che per garantirsi una crescita hanno ceduto le proprie maggioranze a grandi gruppi in cambio di fondi e sinergie che garantissero lo sviluppo. Ciò non è male, ma è un fatto profondamente italiano.

WMT – Internet per le aziende è sempre più un mezzo e non un fine: cosa intendi con questo concetto?

Andrea Giovenali – Lo sviluppo della conoscenza di Internet da parte delle imprese si è evoluta moltissimo in questi cinque anni in Italia. Si è sperimentato molto a spese delle aziende, siti di prima, seconda, terza generazione, siti di comunicazione e progetti primordiali di e-business. Io credo che di fronte alla maturazione di alcune certezze ed esperienze, si stia mettendo ormai troppa enfasi su Internet come ragione d’essere di nuove strategie e nuovi processi, un vento sospinto dall’industria IT, che tende a spostarsi dalla semplice fornitura di infrastrutture tecnologiche alla consulenza. Questo può funzionare per le grandi imprese, che di norma hanno chiara la direzione strategica e il loro orizzonte competitivo, ma nel caso della PMI, è necessario prima di tutto fornire supporto strategico, definire le ragioni di un progetto, e poi solo allora stabilire la ricetta tecnologica più adatta. Forzare l’acquisizione da parte di queste realtà, che mancano di competenze specifiche, di piattaforme da un milione di dollari, adattando l’essenza del loro business su presupposti tecnologici a quella di tante altre aziende, sia un buon modo per affossarle. Molto spesso per queste aziende è prematuro un investimento in tecnologie, e prima dell’e-business, devono affrontare il nuovo business, che verosimilmente appoggerà molto della sua capacità di svilupparsi su nuove tecnologie. Ecco perché Internet non è un fine, ma un fattore abilitante della strategia d’impresa.

IDEE & TECNOLOGIE

WMT – Grande problema che non mi pare ancora ben risolto è quello del rapporto con la tecnologia; non credo si sia ancora generalizzata l’usanza di effettuare la scelta tecnologica come decisione imprenditoriale.

Andrea Giovenali – Sta sicuramente evolvendo la sensibilità delle imprese italiane a questo riguardo. Abbiamo casi di aziende che hanno investito massicciamente negli anni passati e oggi ci chiedono di effettuare analisi nell’ambiente esterno e interno per verificare l’aderenza di questi investimenti con le loro strategie e le aspettative. Ma esistono anche realtà molto distanti, e che basano la propria cultura d’impresa sul prodotto, senza considerare la tecnologia come uno strumento per erigere barriere all’ingresso ai concorrenti, o meglio ancora accelerare i processi e le comunicazioni che portano più business. Un comparto su tutti, quello dell’agricoltura. L’Italia gioca un ruolo importantissimo e la competitività del paese nel mondo passa anche per questo comparto. Le problematiche alimentari di questi ultimi mesi hanno stimolato l’esigenza di una tracciabilità dei prodotti, e nella filiera di questo settore, articolata, frammentata e confusa, tutti si affannano per detenere il centro del sistema e ottenere informazioni. Il retailer vorrebbe tracciare la produzione “bio” e detiene le informazioni cruciali del consumatore, i produttori gradirebbero modulare le scelte di produzione sulla base della conoscenza del comportamento di consumo, ma il retailer non le condivide. Inoltre convergono in questo ambito il settore dell’agro-chimica, dei macchinari, dei trasformatori. Insomma ce ne sarebbe da fare. Il problema è che, a differenza di paesi come la Francia o la Svizzera, i nostri produttori agricoli, anche i più organizzati, non hanno la minima idea di che cosa sia Internet, e l’1% della popolazione agricola possiede un collegamento, mentre all’estero si rasentano quote del 60, 70%. Oggi, integrare in processi di comunicazione molti comparti determinerebbe una spinta incredibile verso lo sviluppo, ma un po’ la cultura “vetero-rurale” del podere e del confine, e un ritardo generalizzato del paese, non favoriscono questo sviluppo. Un ruolo importante nell’avvicinamento alle tecnologie lo potrebbero svolgere le Associazioni professionali e i Distretti Industriali, promuovendo l’accesso a servizi condivisi e investimenti tecnologici comuni.

WMT – Spesso, nelle scelte strategiche, ci si basa e si finisce per essere dipendenti dalla tecnologia esistente, mentre si dovrebbe scegliere le soluzioni tecnologiche in base alle strategie?

Andrea Giovenali – Ho già affrontato questo argomento, ma è bene ritoccarlo. Esiste un approccio pratico, pragmatico e tangibile, che spinge molte aziende a capire meglio un prodotto tecnologico, che non un’analisi strategica del mercato e dei propri asset, che identificano un potenziale di sviluppo dell’impresa. Il marketing dell’industria dell’IT fa il resto. Oggi è però sempre più difficile immaginare un’azienda che si proietti in investimenti onerosi, dopo le cattive esperienze di altri e le mode di questi anni. Un segno è il brusco rallentamento che ha subìto il comparto dell’IT nel mondo in questi mesi, che non ha niente a che fare con la crisi delle borse, ma è molto più strutturale e perciò preoccupante. Dall’altro le partnership tra società tecnologiche e consulenziali sono il segnale dell’esigenza di dare una struttura preliminare alle scelte di investimento tecnologico delle imprese, che sia appunto discendente, e non determinante, dalla strategia.

WMT – C’è una eccessiva competizione nel settore della technology consultant, e poca chiarezza sull’autorità e le competenze. Per non parlare poi del fatto che i criteri di prezzo sono opinabili. È una situazione che si sta evolvendo? Come?

Andrea Giovenali – Queste strutture sono diventate enormi, e non c’è una società tra quelle quotate e coinvolte nell’IT che non dichiari di fornire soluzioni di consulenza e sviluppo tecnologico alle imprese. Da un lato quindi la competizione si è accresciuta a dismisura per un paese come il nostro, dall’altro il criterio di prezzo dei progetti è assolutamente casuale, e molto spesso più funzione dell’esigenza di acquisire un business che non del reale valore che si dovrebbe attribuire alla consulenza. Questo dequalifica un po’ il settore, ma crea anche una confusione tremenda. Un invito dovrebbe essere quello di segmentare con maggiore chiarezza il proprio ambito di mercato (ad esempio banche, industria ecc.), le dimensioni della propria clientela, e soprattutto le proprie mansioni operative. Anche la competizione deve avere un ordine, e in questi mesi tutti competono con tutti. La mia società presenterà dopo l’estate uno studio specifico del settore della technology e del management consulting, per aiutare le aziende a comprendere le reali   differenze e caratteristiche dei vari attori. Noi ci occupiamo di mercati, e quindi abbiamo ritenuto corretto analizzare anche questo.

WMT – L’anno scorso segnalavi l’urgenza di rivoluzionare il modello delle PMI che si avvicinano alla rete perché non sufficiente, troppo ‘casalingo’, in un ambito competitivo più esteso e internazionale, pur mantenendo caratteristiche tipiche nazionali per creare un’efficiente ‘net-economy in salsa di pomodoro’. Quali cambiamenti significativi sono avvenuti?

Andrea Giovenali – Credo che le cose si stiano rapidamente sviluppando per le medie imprese, quelle insomma che fatturano più di 100/150 miliardi. Il mercato finanziario e il superamento di una soglia di dimensioni sufficientemente grande, consentiranno a molte di queste aziende di effettuare il salto nell’innovazione. Purtroppo il discorso delle piccole imprese è drammaticamete diverso. Molte realtà imprenditoriali piccole si sono sviluppate all’ombra di grandi realtà industriali, che hanno creato un indotto di affari, hanno contribuito a svilupparle, ma che ora, per varie ragioni, le hanno “scaricate”. I componenti costano meno nel far-East o nell’Est europeo, e i piccoli imprenditori si trovano senza un business garantito e l’obbligo di competere con paesi lontani e comunque inimmaginabili fino a qualche anno fa. Soccomberanno in molti, ma molti con lo spirito giusto e la volontà di mutare ed evolvere il proprio business, la spunteranno. Questo è il momento di decidere, di munirsi delle giuste competenze e saper rinunciare alle certezze di un business consolidato in tanti anni, ma che rischia di prosciugarsi in fretta. Le soluzioni sono molte, la diversificazione, le partnership, lo spin-off, l’espansione internazionale, persino la drastica riconversione che permetta di valorizzare alcuni asset, ma che muti il modello operativo e produttivo dell’impresa.

WMT – Le aziende, in particolare quelle medie, stanno affrontando l’e-business come dimensione strategica e veicolo di innovazione, e quindi prima di tutto affrontano la strategia d’impresa, definiscono gli obiettivi, e poi passano alla definizione dei requisiti per lo sviluppo di tecnologie… sembra una contro tendenza rispetto all’anno scorso…

Andrea Giovenali – Non lo è…è solo che gli errori di molti serviranno ad altri, e che la maggiore attenzione e consapevolezza di questi ultimi mesi, dopo la prudenza eccessiva, spingerà invece verso una maggiore ponderazione e saggezza nelle scelte delle medie imprese, le vere protagoniste dei prossimi dieci anni del tessuto economico del nostro paese.

WMT – Grazie per i consigli Andrea. Allora ci rivediamo fra un anno?

Andrea Giovenali –   Ringrazio te per avermi permesso di esprimere queste riflessioni, perché tali sono. È difficile dare consigli, ci proviamo ogni giorno, ma in questi mercati non ci sono certezze e il processo che affrontiamo con le imprese è di apprendimento continuo…e anche perché tra un anno potrebbe essere cambiato di nuovo tutto. Qualche idea in proposito ce l’avrei, ma magari ci sentiamo tra sei mesi.