Vai al contenuto

Gli anni del market management

Web Marketing Tools 2001

Il marketing dell’era di Internet è stato promosso ai piani alti dell’impresa.

La competitività delle imprese nell’era di Internet richiederà un’attenta comprensione dell’ambiente esterno e delle opportunità di espansione che esso può esprimere o nasconde, con lo sfruttamento di nuovi territori e il coraggio di decidere in tempo cosa cambiare e innovare delle proprie strategie.

In un articolo apparso recentemente, Regis McKenna , uno dei più noti consulenti di marketing di imprese hi-tech e che ha contribuito al lancio di importanti prodotti per conto tra gli altri di Apple , Lotus e Microsoft nell’arco degli ultimi vent’anni, ha lanciato una provocazione sostenendo “la fine del marketing”. In verità si tratta di un tema che è periodicamente riemerso negli ultimi dieci anni, e che torna ad essere affrontato e discusso in occasione di fasi cicliche nelle quali è più la confusione a governare i mercati, che non le regole consolidate. Ciò è avvenuto all’inizio degli anni 90, al termine della breve recessione e all’inizio dell’era di Internet, e ciò avviene ora, durante la riflessione che riguarda i frenetici cinque anni di sviluppo della net-economy.

In entrambi i casi le strategie attuate, e il bilancio – talvolta doloroso -degli investimenti effettuati in marketing, sono diventati il motivo di una profonda analisi a riguardo del ruolo di questa disciplina nell’ambito delle strategie d’impresa.

Il marketing non è “finito”, è solo salito di grado

Ma a leggere bene il contenuto dell’intervista a McKenna emergono ben altre verità, più rilevanti nella sostanza della semplice e ricorrente provocazione del marketing che ha giorni contati.

McKenna sostiene che il marketing sta diventando una parte integrante dell’intera strategia d’impresa più che una funzione, che in quanto tale oggi si occupano di marketing direttamente i CEO delle società , e che il “marketing” operativo è ridotto al cosiddetto “marcom”, ovvero la gestione della comunicazione , e che infine molte delle attività tradizionali del marketing sono rimpiazzate dalle tecnologie , come ad esempio i software per il CRM.

Ho ritrovato molti aspetti che condivido nelle argomentazioni di McKenna e che trovano conforto nell’osservazione di quanto avvenuto negli ultimi anni nel nuovo mercato di Internet.

La verità è che i detrattori di una disciplina come il marketing, non solo sono rei di non conoscerne le potenzialità perché hanno altre estrazioni professionali diverse (e in verità i primi anni di Internet hanno visto la logica prevalenza di competenze tecnologiche), ma non sono consapevoli del fatto che il marketing non è “finito”, ma è solo salito di grado nella scala dei valori di direzione d’impresa. Ecco di seguito alcune ragioni di questo.

Il prodotto, la “.com” o quello che offre?

Uno degli aspetti primari è avere chiarezza su quello che si definisce “prodotto” in un web business.

Partiamo da un presupposto importante: il prodotto è quella cosa, materiale o immateriale (ad esempio un servizio) per assicurarsi la quale un utente è disposto a corrispondere un valore economico reale, diventandone cliente.

La forza di un’impresa che opera sul Web verso chi deve acquistarne i prodotti o i servizi non è lei stessa, ma la qualità degli stessi prodotti e servizi che offre. Potrà sembrare una banalità, ma dietro a questo concetto semplice e desueto si nascondono molte forze e debolezze.

Il prodotto di Amazon sono i libri : Amazon non sarebbe quello che se non vendesse tanti libri, tutti quelli che un medio acquirente potrebbe mai immaginare di comprare in dieci vite, mettendo in evidenza soprattutto libri di qualità e di rilevanza per il suo cliente. Esperya non sarebbe il piccolo gioiello di e-commerce italiano che è ritenuto dagli appassionati di specialità gastronomiche se non trattasse cibi di primissima qualità e preservandone la stessa con grande attenzione durante la consegna.

E quale è il prodotto di un marketplace b2b? In primo luogo i prodotti che tratta, e poi il servizio reso dai processi di ottimizzazione economica e temporale. Se dentro il marketplace non c’è nulla di rilevante per l’acquirente, poco importa guadagnare tempo e denaro grazie a sofisticate tecnologie di e-commerce, che dovrebbero far succedere le cose magicamente da sé. Questa è la ragione del fallimento di moltissimi marketplace in questi mesi, operazioni sviluppate da uomini di tecnologia, non di mercato.

La forza di Letsbuyit sono i prodotti che tratta, ma anche quella di Ebay , che ha investito molto bene i suoi soldi con un’attività a tappeto di tele-marketing, nel cercare di creare da subito un ampia base di utilizzatori a partire dalla loro intenzione a inserire propri prodotti, non di andare a visitare il sito.

Le cose si complicano quando dobbiamo stabilire quale sia il prodotto di un portale come Virgilio , probabilmente il servizio, forse i contenuti, ma anche un po’ le risorse e il motore di ricerca. Il paradigma è quello di un utente che paga il suo pegno al prodotto esponendosi alla pubblicità, peccato che la pubblicità non riesca ancora a sostenere i costi di produzione del prodotto/servizio del portale. Questa è la ragione per la quale i possibili vincitori della competizione dei portali saranno coloro che verosimilmente possono sviluppare sinergie orizzontali, perché già dispongono di contenuti sviluppati per altri media.

Questa è anche la ragione per la quale Altavista ha ritenuto improbo il tentativo, si è ricreduto ed è tornato a riconsiderare il vero unico prodotto/asset che lo ha reso quello che è, il motore di ricerca.

Il caso emblematico di Boo.com , sempre lui, che ha cercato di vendere prodotti creando un prodotto/sito, pur vendendo prodotti di cui nessuno sapeva nulla, forse resta il più grossolano errore costato 260 milioni di $ di venture capital. Ma altri covano.

Il prezzo, anche se molte volte non c’è ne uno

Le strategie di definizione del prezzo sono uno degli aspetti più controversi a riguardo della sostenibilità dei modelli di business di società Internet.

È notizia del gennaio di quest’anno quella per la quale molti ISP’s americani che fornivano accesso gratuito a Internet hanno fatto marcia indietro. Ma va anche citata la dichiarata intenzione di alcuni portali di applicare un prezzo ad alcuni contenuti a valore aggiunto o ad alcune forme di servizio all’utente.

In molti casi si è barattata la necessità inderogabile di generare fatturato per sostenere la teoria della quota di mercato di utenti posseduti (profilazione), su cui successivamente elaborare strategie di valorizzazione attraverso l’offerta di altri servizi o sfruttare la leva pubblicitaria. Il risultato ha portato a pesanti esposizioni finanziarie dovute all’investimento per acquisire clienti, non bilanciato da fatturati generati dall’attività.

È importante distinguere però quei siti che hanno sostenuto un modello discutibile di pricing, da coloro che hanno impiegato più tempo per generare una curva di adozione del proprio servizio, magari ingiustamente equiparati ai primi.

Si è molto discusso di come il prezzo di beni acquistati via-internet debba necessariamente   essere inferiore a quello previsto sugli stessi prodotti nella vendita in canali tradizionali, e ciò è dovuto alla capacità di rimodellare i processi distributivi e gestionali attraverso maggiori economie attribuibili proprio alle caratteristiche di integrazione tra processi , organizzazione e tecnologia impiegata. Questa resta una sacra verità, non solo una teoria, purtroppo scarsamente applicata dai siti di e-commerce, la cui marginalità disponibile sul prodotto venduto viene molto spesso divorata da investimenti di comunicazione atti a conseguire in tempi veloci una market share che tende a forzare un’adozione del servizio incompatibile con le caratteristiche della domanda. Risultato: il prezzo non è inferiore al canale tradizionale e in più si deve pagare la spedizione. Questo è il problema di cui hanno sofferto tutti i siti di vendita di CD, già pressati dall’innovazione dell’MP3, e non in grado di generare una reale percezione di vantaggio e di servizio negli utenti.

Un altro caso riguarda sempre il servizio di consegna di prodotti di largo consumo a casa, uno dei modelli più discussi di e-commerce dal punto di vista della sostenibilità dei processi e degli investimenti necessari a gestire l’attività. Margini ridottissimi sui prodotti, volumi ancora non sufficienti a generare sconti nell’acquisto dai produttori, ricorso indispensabile ai prodotti di marca, per i quali le aziende temono   la generazione di conflitti di prezzo sui canali di vendita. Il risultato è la non applicabilità di una riduzione del prezzo all’utente finale senza generare perdite, e in alcuni casi di servizi già attivi, anche la gratuità della consegna a casa, come leva di incentivazione/promozione per guadagnare clienti. Il costo di consegna è in una fase iniziale di sviluppo del grocery online la ragione d’essere del servizio e del suo relativo valore agli occhi del cliente. Credere che non far pagare la consegna avvicini a questa modalità di servizio online, chi la spesa continua a farla nei supermercati, è un errore importante e che grava sulla profittabilità dell’impresa nella sua fase più delicata, l’avvio. Altresì, prepararsi alla successiva competizione sul prezzo di servizio in una fase più matura è meglio sostenibile economicamente quando si dispone di una base di clienti più ampia dei quali si conosce il comportamento per attuare una migliore pianificazione, ma anche per ottenere maggiori sconti sul volume di acquisto dai produttori.

La pubblicità…troppa e troppo presto

Sembra essere la colpevole di tutto, quella macchina mangia soldi della pubblicità nella quale sono stati bruciati i due terzi dei capitali delle .com.

La verità è che la comunicazione resta l’unico modo per generare alcuni valori importanti all’impresa, come la notorietà, il posizionamento, e il branding , cioè la costruzione di una marca. Questi sono aspetti cruciali per l’ottenimento di una quota di mercato, ma più volte è stato sostenuto come, soprattutto in una fase iniziale di sviluppo di un business web, le leve del below-the-line siano indubbiamente più efficaci e misurabili.

Sono famosi i casi di società Internet americane che hanno acquistato costosissimi spot all’interno del Super Bowl, come aziende italiane che hanno avviato pesanti campagne tradizionali per ottenere livelli di ricordo spontaneo minimi dopo decine di miliardi spesi.

Le ragioni sono le più varie, anche se ogni storia e ogni caso presenta specifiche caratteristiche:

•  l’euforia e la ricchezza improvvisa di risorse finanziarie ha spinto molte .com americane a impiegare leve pubblicitarie assolutamente dispersive rispetto al target group a cui proporre il prodotto.

•  Molte, la maggior parte, non parlavano del prodotto vero, ma del sito, generando un incomprensibile messaggio che ai più non solo non restava memorizzato, ma che la maggior parte non capiva.

•  I mezzi classici, quasi tutti in questa fase di sviluppo di Internet in Italia, parlano ad ampi segmenti di popolazione che non hanno minimamente toccato l’opportunità di Internet, come strumento vantaggioso per sé, tanto meno come ambito di mercato (pensiamo ai molti messaggi di costruzione di un’identità istituzionale all’interno dei principi della nuova economia)

•  Si è cercato di forzare l’acceleratore dello sviluppo con la pubblicità,   proponendo stili di acquisto e di consumo, ma questo è incompatibile con lo sviluppo di tendenze di comportamento psico-sociale, che richiedono tempo per affermarsi, alcune volte decine di anni.

L’alternativa è l’investimento mirato, che può utilizzare anche media tradizionali, ma che lo faccia con buon senso (Esperya investe tatticamente su Il Gambero Rosso TV). Sostengo anche la fondamentale importanza di tutte le forme di DM, tradizionale, telefonico e web, e delle PR, quelle capaci di generare un meccanismo di notorietà da e in mezzo alla gente, che crei l’affermazione sociale di qualcosa che “si deve fare” perché è utile o perché e semplicemente divertente, fenomeni capaci di mettere in moto subito le revenue di un’impresa Web.

La distribuzione, questa sconosciuta

Un’ultima menzione di rilievo riguarda il concetto di distribuzione di una .com, che si può interpretare in molti modi diversi e tutti allo stesso modo importanti per il successo del business.

La distribuzione è quella fisica dei beni che vengono ordinati via Internet, aspetto sul quale si sono spese tonnellate d’inchiostro e centinaia di convegni. Se il problema dell’ ultimo miglio esiste, ciò comporta oneri indescrivibili di operatività e costi alle imprese Internet. Le stesse “non hanno la competenza”, o altre volte è stato sostenuto che non è sostenibile economicamente consegnare a casa dei beni al consumatore finale (??!!). Probabilmente questo è vero oggi, ma tra dieci anni l’e-commerce b2c si sarà imposto come stile di acquisto in un’ampia porzione della popolazione, grazie a nuove forme di logistica “leggera”, in grado di sostenere questi modelli di business. La verità è che oggi le società di logistica non sono pronte ad offrire un prodotto calibrato, ma lo stesso potenziale di mercato in termini di volumi non giustifica ancora la loro attenzione. Toglietevi lo sfizio di contattare le principali società di logistica internazionali in Italia su un’esigenza di consegna per l’e-commerce, avrete la conferma di quanto sia distante ancora il problema dal trovare delle soluzioni commerciabili e attuabili.

Ma se il prodotto è il servizio, penso ai portali, distribuzione è anche la capacità di permettere all’utente di fruirlo in modo efficace, veloce ed affidabile, qualsiasi tecnologia e connessione avanzata o primordiale lui impieghi.

Questo ha a che fare con la valutazione della prestazione di Internet, un concetto quasi sconosciuto in Italia, paese nel quale tutti si accalcano a stabilire il numero di pagine viste e visitatori di un sito, senza sapere che disponendo di applicazioni e infrastrutture più efficienti e ottimizzate, potrebbero disporre di guadagni eccezionali nel numero di visitatori, quelli che navigano a basse velocità e che si disconnettono quando un ad-server fa attendere un minuto prima di inviare il banner alla home page e rallentando tutto lo scaricamento del sito.

Esistono società specializzate e collaudate, come ad esempio l’americana Keynote Inc. in grado di effettuare diagnosi sofisticate sulle infrastrutture di comunicazione e tecnologiche che impiega un sito, sull’efficienza dello streaming, sui tempi medi di attesa per il download della home page di un sito da vari luoghi di accesso, stabilendo benchmarking internazionali e fornendo informazioni determinanti per migliorare la distribuzione del proprio prodotto agli utenti (come ad esempio l’Internet Perfomance Index).

Provate a entrare in supermercato, cercare un prodotto che vorreste, e quando lo cercate, sentirvi dire che fuori stock o che si deve aspettare che l’inserviente lo vada a prendere in magazzino, con chi ve la prendereste dopo l’iniziale frustrazione? Non certo con il prodotto, ma con il supermercato. Banale, ma è una sacra certezza.

Gli anni del “market management”

Prodotto, prezzo e distribuzione sono tre aspetti di base del marketing tradizionale, e in queste stagioni di riflessione, è fondamentale impiegare alcuni sani principi consolidati per stabilire il carattere di competitività e sostenibiltà del proprio business.

Se il marketing, come sostiene McKenna, è “finito”, è vero anche la direzione d’impresa non può esimersi dal considerare la gestione dei principi del mercato come aspetto di partenza per la determinazione delle proprie strategie competitive. Perciò il marketing è stato promosso a un grado più alto della gerarchia decisionale di un’impresa.

E se negli anni 80 il motto era downsizing e poi rengineering, con pesanti interventi per ottimizzare i processi e le organizzazioni che passavano dal era industriale a quella post-industriale, oggi ci troviamo di fronte all’opportunità di un nuovo mercato, con nuovi territori e nuove regole.

Sebbene la riflessione in atto abbia portato a riconsiderare molte di queste caratteristiche rivoluzionarie della new-economy, siamo tutti certi del fatto che la strada sia già aperta, in tempi magari più lenti, per una trasformazione sostanziale del core business di aziende tradizionali con Internet, o il miglioramento delle strategia di chi già opera sul Web.

La filosofia che dominerà i prossimi anni per chi saprà interpretare l’opportunità in tempo, sarà quella dell’espansione della produzione, dello sviluppo d’impresa, della ricerca di nuove fonti di business, e questo ha a che fare con la comprensione del mercato, nelle sue varie dimensioni e con le sue potenzialità da sfruttare o da stimolare. Nel passaggio tra le due fasi economiche, a molti si porrà un problema contrario e funzione di una riconversione non attuata, cioé quello di continuare a rosicchiare l’osso dei costi e degli investimenti, piuttosto che assumerne di nuovi per sostenere un’espansione e uno sviluppo sul mercato pianificati.

Ci aspettano anni duri e di scelte forti e sostanziali, in un contesto di regole che non esistono più, tendenze impazzite e mutamenti veloci.

Saranno gli anni che vanno affrontati con un approccio più deciso alla comprensione di quello circonda l’impresa e dell’ambiente in cui opera, il market management .

Andrea Giovenali